Barometro Flotte Arval: senza una strategia oggi non si va lontano

8 Maggio 2025
7 mins read

Semplicemente imprescindibile. Basata su un approccio data-driven, oggi la mobility strategy aziendale è diventata un efficace strumento di ottimizzazione degli investimenti e dei costi, oltre che di promozione degli obiettivi sostenibili. A metterlo in evidenza la 20a edizione del “Barometro delle Flotte Aziendali e della Mobilità” di Arval Mobility Observatory – il centro studi della società francese di noleggio a lungo termine Arval – in collaborazione con Ipsos. 

UN NUOVO INTERLOCUTORE

“L’osservatorio muove i suoi primi passi addirittura nel 2002 – ha spiegato Massimiliano Abriola, responsabile di Arval Mobility Observatory in Italia – ma la rapidità dei cambiamenti in corso spinge a elaborare ogni anno nuove chiavi di lettura. Per il documento di quest’anno abbiamo effettuato oltre 8mila interviste in 28 Paesi del mondo, 300 delle quali solo in Italia (45 per cento industria, 30 per cento servizi, 15 per cento commercio, 10 per cento costruzioni). Il primo dato emblematico riguarda il mutamento della popolazione intervistata, visto che siamo passati da un interlocutore prettamente legato al segmento di gestione dei veicoli a uno polifunzionale, rappresentato ad esempio da responsabili delle case produttrici, managing director, incaricati della direzione finanziaria: in sostanza, la mobilità odierna implica una serie di competenze molto più complesse e differenziate che in passato. Questa complessità, però, continua a crescere perché il quadro di sviluppo economico e normativo odierno tende a generare più incertezze che punti fermi”. 

LA SPINA NEL FIANCO DEL TCO

Secondo punto critico dell’analisi di Arval Mobility Observatory è non a caso il TCO. Lasciato alle spalle un periodo di sostanziale congelamento dell’inflazione, il fenomeno è improvvisamente schizzato negli anni post-Covid, toccando quota +40 per cento nel 2024 rispetto al 2019: un valore che, analizzato nel dettaglio, grava in realtà su ambiti altamente strategici per la mobilità come il financing (50 per cento), l’energy (24 per cento), la manutenzione gomme (10 per cento, ma con un picco del +48 per cento fra il 2021 e il 2024 sul prezzo dei ricambi d’auto), così come l’assicurazione (10 per cento). Lo stesso ticket medio d’acquisto veicoli è passato da 21mila euro agli odierni 30mila. Combinando i diversi fattori, il valore del TCO ha perciò subito un incremento medio del 28 per cento in Europa, finendo per mettere in seria difficoltà le strategie di mobilità aziendale.

“Non è un caso che il nostro barometro evidenzi come sfida principale la mitigazione del TCO (32 per cento) – ha aggiunto Abriola – lasciando al secondo posto l’adeguamento alle politiche inerenti i veicoli termici (31 per cento) e al terzo la spinta a una guida più responsabile (27 per cento). Fra l’altro, la mitigazione del TCO implica una crescita di preoccupazione per la mobilità dei dipendenti aziendali, per l’elettrificazione o in generale per le nuove alimentazioni: le problematiche d’utilizzo dei mezzi in flotta incidono molto più (60 per cento) della valutazione degli asset (40 per cento). È allora chiaro che solo un’analisi concreta dei dati può oggi permettere di focalizzare correttamente quali siano gli ambiti su cui intervenire in prima battuta: per le aziende la strategia data-driven è un vero e proprio game changer, a tal punto da crescere in Italia di ben sette punti percentuali nel biennio 2024/2025, cioè dal 57 al 64 per cento, più ancora che in Europa, dove la volontà di utilizzo dei dati provenienti dalla flotta incide per il 60 per cento”. 

FOCUS SU CONNETTIVITÀ E MULTIFUEL

Un altro tema emerge però con crescente importanza: la connettività. Stando ai rilevamenti Aiaga, incide addirittura per l’85 per cento, mentre la volontà di utilizzare veicoli con alimentazioni alternative interessa un 60 per cento del campione che, oltretutto, ha dichiarato di averli già introdotti in flotta (mentre il 19 per cento è pronto a farlo), propendendo principalmente per soluzioni ibride (51 per cento) o ibride-plug-in (48 per cento) rispetto a solo elettriche (35 per cento). Oggi, infatti, il market share relativo alla tipologia di alimentazione interna alle flotte vede prevalere ancora ampiamente le soluzioni termiche (41 per cento), mentre quelle elettriche (27 per cento) e ibride (23 per cento) tendono quasi a coincidere. Ciò nonostante, il 90 per cento delle aziende dichiara di essere pronta ad accelerare la transizione ecologica nel 2025, con un sentiment che di qui a tre anni ambisce a disporre di almeno un terzo della flotta interamente elettrificato. 

VERSO CONTRATTI DI PIÙ LUNGO TERMINE

“Questa propensione potrebbe essere ancor maggiore – ha suggerito Carlo Basadonna, direttore sales di Arval Italia – perché i rilevamenti dell’osservatorio si sono conclusi lo scorso ottobre, cioè prima che potesse essere avvertito nel pubblico l’effetto positivo della nuova legge di bilancio che spinge verso l’elettrico in maniera sostanziale. Lo stato di salute medio delle batterie ha d’altra parte dato prova di notevole resistenza nel tempo, tenuto conto che a 70mila chilometri si attesta al 93 per cento, ma ancora al 90 per cento a 200mila chilometri e addirittura all’85 per cento dopo 7 anni: il 98 per cento dei veicoli oggi presenti nelle flotte aziendali vanta dunque uno stato di salute superiore all’80 per cento. È un dato rilevante sotto più punti di vista, perché significa che in futuro saremo in grado di fare contratti sulla durata della vita del mezzo più lunghi rispetto agli attuali, oltre i 5 o 6 anni contro la media usuale di 3-4 anni, andando dunque a incidere positivamente sulla riduzione del TCO: in sostanza, chi punta a ridurre le emissioni opera al contempo alla riduzione del Total Cost of Ownership”.

Altro aspetto non trascurabile, l’uso dei veicoli appare mediamente meno intensivo di quanto ci si possa aspettare, visto che su arco quinquennale risultano percorsi non più di 90-100mila chilometri. In aggiunta al minor logoramento dei motori elettrici rispetto ai termici, tutti questi fattori giocano a favore di un consolidamento delle strategie green all’interno della mobility strategy aziendale. Sul fronte elettrico futuro non è però tutto rose e fiori: fra le possibili limitazioni all’utilizzo dei mezzi incide ancora per il 33 per cento il numero dei punti di ricarica pubblici, mentre i punti di ricarica domestici per il 29 per cento e per il 28 per cento i punti ricarica in sede aziendali. Non trascurabile anche la quota di chi stigmatizza il prezzo superiore rispetto ai veicoli termici (28 per cento), seguito dal riconoscimento di una gamma limitata di modelli (23 per cento) e dal sollevare questioni di generale affidabilità (20 per cento), nonché di sostanziale avversione a guidare una tipologia di veicoli tale (9 per cento). 

SUPPORTO AL PRIVATE CHARGING

“Si tratta di posizioni dovute in parte a una conoscenza ancora superficiale del fenomeno – ha rilanciato Massimiliano Abriola – perché oggi le gamme dei veicoli elettrici risultano di fatto più complete e in grado di coprire egregiamente tutte le fasce di mercato, mentre dal punto di vista dell’implementazione della rete di ricarica rileviamo forti segnali da parte delle aziende a promuovere l’uso di veicoli elettrici unitamente a piani di agevolazioni per la loro alimentazione. Più che dalla scarsità dei punti d’approvvigionamento, l’azienda risulta maggiormente preoccupata dagli eventuali tempi di ricarica, dal momento che la lentezza finisce per incidere sull’aumento generale del costo dei servizi e di produttività della persona. Potremmo allora dire che è la charging strategy a giocare un ruolo chiave nelle scelte finali dell’azienda”. L’86 per cento delle aziende punta infatti a dotarsi di un’apposita strategia relativa alle possibilità di ricarica diretta della propria flotta, prevedendo una distribuzione dei charging points sostanzialmente uniforme fra sede di lavoro, abitazione del dipendente e postazioni pubbliche.

“L’obiettivo è arrivare a una gestione dei costi che preveda tre soluzioni complementari – prosegue Abriola – con un 41 per cento favorevole alla gratuità per tutti o almeno buona parte dei dipendenti, un 65% per cento propenso al rimborso del dipendente e un 51 per cento al rimborso attraverso energy card o mezzi affini. Che la propensione al rimborso diretto del dipendente appaia tanto alta dipende anche dal fatto che il costo privato dell’energia a chilowattora è sensibilmente più basso di quello pubblico o aziendale (in media 30 centesimi contro 1,10 euro). In ogni caso, là dove l’azienda decida di prendere in mano la charging strategy, il beneficio finale per la strategia generale della mobilità non solo appare evidente, ma tende a ribaltare gli svantaggi strutturali rispetto alla maggior disponibilità di veicoli termici”. Un’analisi Benchmark mette infatti in luce che, in assenza di charging strategy, quindi con ricariche gestite al 100 per cento a livello pubblico, l’aumento dei costi legati al TCO risulta pari a un +10 per cento, mentre in caso d’intervento dell’azienda è possibile ottenere un beneficio del 3 per cento. 

SOSTENIBILE CONVIENE

“Là dove le strategie sostenibili aziendali vanno a incidere sul benessere dei dipendenti – ha rimarcato ancora Carlo Basadonna – la produttività sul posto di lavoro aumenta del 20 per cento. Il 61 per cento dei lavoratori considera inoltre questi benefici il primo fattore determinante per rimanere in azienda, mentre il 78 per cento dei consumatori dichiara di essere più propenso ad acquistare da aziende che riconoscono priorità a questi aspetti. Oggi, dunque, investire in sostenibilità e in mobilità sostenibile conviene nel 43 per cento dei casi per soddisfare esigenze di human resources, ma nel 26 per cento per migliorare anche l’employee branding e nel 23 per cento per rispondere direttamente alle richieste dei dipendenti. Per il 45 per cento degli intervistati significa soprattutto essere in linea con le politiche CSA e per il 34 per cento rispondere anticipatamente alle normative sulla mobilità, mentre spicca il fatto che il controllo costi e il miglioramento della produttività appaiano ancora tanto indietro nelle motivazioni. Significa che, in assenza di un approccio data-driven, i preconcetti tendono a imporsi sugli effettivi e comprovati vantaggi economici”. 

FLOTTE IN CRESCITA

Il potenziale di crescita delle flotte resta comunque alto, visto che il 93 per cento delle aziende ritiene che il proprio parco mezzi sarà stabile o aumenterà nei prossimi tre anni. Anzi, il 45 per cento intende proporre veicoli in sharing e, all’interno di questa quota, uno su cinque risulta aver già introdotto o pensa di introdurre soluzioni di corporate car sharing, mentre uno su sette pensa addirittura a soluzioni in bike sharing. “Quest’ultima indicazione – ha concluso Abriola – aiuta a farci capire come il focus principale, nei prossimi anni, non dovrà essere la ricerca spasmodica di nuove tecnologie, bensì un nuovo modo di accedere alla mobilità: una mobilità intermediata dalle aziende, portata dunque a livelli superiori di efficienza attraverso un’apposita mobility strategy. I risultati del Barometro 2025 servono dunque a fotografare l’impegno delle imprese nel combinare innovazione ed efficienza operativa: la tensione verso la sostenibilità si affianca così alla ricerca dell’ottimizzazione dei costi qualificando elettrificazione, sharing e dati come abilitatori tecnologici di una mobilità che soddisfa sia i vincoli di TCO che gli obiettivi ESG”. 

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