Intervista a Carlo Molteni, titolare della Molteni Trasporti
È un venerdì pomeriggio di luglio, sul piazzale si misurano quasi 50 gradi. Parcheggiamo l’auto temendo l’infuocato cammino che ci separa dalla prossima dose di aria condizionata. E infatti puntualmente entriamo negli uffici sconvolti dalle fatiche del caldo, della settimana e pure di tutta la stagione. Il nostro ospite invece, dalle stanze di quello che pare un atelier di design più che un’azienda di autotrasporto, ci accoglie impeccabile nello stile, con modi d’altri tempi. Non serve un acume fuori dall’ordinario per presagire l’attenzione di questo imprenditore per i dettagli. D’altronde siamo qui perché al suo radar, che scopriremo essere costantemente in azione, non è sfuggito un editoriale della nostra rivista intriso di vis polemica.
Carlo Molteni, titolare della Molteni Trasporti, siamo lieti dell’opportunità di fare la sua conoscenza. E la ringraziamo per averci scritto.
Non ne ho potuto fare a meno leggendo nero su bianco alcune considerazioni che ho giudicato allineate a quello che è il mio pensiero. Parlo ad esempio della questione dell’incertezza normativa: noi imprenditori fatichiamo a capire quale sia la strada da seguire e bramiamo conoscenze e informazioni che possano indirizzarci al meglio. Siamo costantemente bombardati da input che ci spingono ad accelerare sull’adozione di autocarri ad emissioni zero. Ma siamo sicuri che sia la strada giusta? Sul tema della sostenibilità avremmo bisogno di avere consigli disinteressati. E invece mi sembra che da sempre chi vende i mezzi punti sulla tecnologia che ha in casa. Le faccio subito un esempio: qualche anno fa un costruttore ci propose di convertire ad LNG l’intera flotta. Era il futuro, dicevano. Scrissero un progetto, assicurandoci che ci saremmo stancati a forza di guadagnare quattrini. Ma qualcosa non tornava, ad esempio il problema del rifornimento: di distributore di LNG allora ce n’era solo uno. Oggi l’immatricolato di veicoli LNG è allo 0,3 per cento. Futuro, eh? Ad Hannover l’anno scorso mi sono fermato ad osservare un camion ad idrogeno, i suoi componenti: lei lo sa che per guidarlo serve un autista con una bella laurea in ingegneria? È per questo che dico: se consideriamo la tecnologia alla stregua di prototipi va benissimo, studiamoli. Però ad oggi la strada non è tracciata e ognuno tira acqua al proprio mulino.



In realtà oggi i produttori sono concordi nel comunicare un concetto: per ogni missione serve l’alimentazione giusta. Quello che è certo è che il parco circolante italiano va svecchiato, bisogna investire.
E io non potrei essere più d’accordo. Ma a questo proposito qualche responsabilità le aziende se la devono prendere. Se un imprenditore oggi possiede veicoli che hanno 20 anni di vita vuol dire che ha sbagliato mestiere. Un tempo i profitti erano molto più consistenti rispetto ad oggi e nonostante questo molte realtà, la maggior parte stando alle analisi sull’età del circolante, non hanno investito nella sostituzione dei mezzi obsoleti. È mancata la visione e, cosa ancor più grave, la conoscenza del business.
Lei conosce il suo?
Tutto il mio operato parte da una profonda conoscenza dell’azienda: senza è impossibile stabilire il costo del trasporto e combattere efficacemente la concorrenza. Ma le dirò di più: il prezzo del trasporto è solo uno dei tanti elementi che vanno tenuti in considerazione. Più si alza il livello, e per le aziende profittevoli si deve alzare, e più la partita si gioca su temi diversi. Noi con la committenza facciamo leva su quelli della salute e della sicurezza, grazie ai quali riusciamo a non essere schiavi di una tariffa imposta, riusciamo anche a dire di no. Certamente dipende anche dall’interlocutore, ed è per questo che abbiamo scelto di lavorare solo con le multinazionali, perché con loro il rapporto è costituito per il 50 per cento dal nostro impegno e per l’altra metà da ciò che loro possono insegnare a noi. Se il nostro raggio di azione ci attribuisce una visione necessariamente provinciale, frequentando il corridoio di una multinazionale ne usciamo arricchiti anche solo stando ad ascoltare. La nostra attenzione nei confronti di salute e sicurezza, ad esempio, è iniziata il 14 febbraio 2005, partecipando ad una riunione organizzata proprio da un cliente. Da lì abbiamo intrapreso un percorso che da un semplice foglio A4 ci ha portati oggi ad un compendio di 110 pagine, scritte da noi. Quel giorno ci è stato insegnato innanzitutto cosa dire agli autisti, e questa riflessione ha cambiato le sorti della nostra azienda: se al mattino arrivi sano al lavoro e alla sera torni altrettanto sano dalla tua famiglia, questa fortuna vale la scomodità di indossare un elmetto, una scarpa antinfortunistica, un giubbetto.
Lavoriamo in un settore molto specifico: trasportiamo materiali sfusi per multinazionali che si occupano di opere pubbliche. Ci è richiesto un alto livello di professionalità, che incontriamo con autisti formati e in grado di comportarsi nel modo richiesto, anche se questo ci impone, in un periodo in cui già trovare collaboratori non è semplice, la complicazione di una selezione rigida nella scelta dei nostri dipendenti. Ma è necessario: intanto non possiamo mettere chiunque su un mezzo che vale un appartamento, in secondo luogo se su 100 consegne – che sono quelle che portiamo a termine ogni giorno – commettiamo un errore, il cliente, è sicuro, si ricorderà di quell’unico episodio, e non degli altri 99. Non è semplice trovare il giusto equilibrio se per la mancanza di autisti dobbiamo fermare i camion, rifiutare i lavori, abbassare il fatturato. Eppure queste sono le condizioni di lavoro di chi ce lo fornisce. I vantaggi però sono enormi. Uno tra tutti: abbiamo a che fare con ottimi pagatori e non conosciamo il problema dell’insolvenza: questo innesca un circolo virtuoso che a cascata, ad esempio, ci assicura un alto rating in banca per l’accesso a finanziamenti con tassi agevolati.


La professionalità fa crescere le aziende…
La stessa che ho cercato e trovato nei nostri consulenti, senza i quali non saremmo arrivati dove ci troviamo oggi: abbiamo scelto di avere un commercialista, un tributarista, un consulente del lavoro e uno studio di avvocati al nostro servizio, tutti contrattualizzati per tutelare noi e la nostra attività. Non aspettiamo la sentenza di fine anno per eventualmente scoprire di aver lavorato per dodici mesi senza guadagnare nulla. Abbiamo un controllo di gestione che ci indica i parametri da seguire: a me piace lavorare così, i numeri mi danno conforto quando sono alimentato dal dubbio. Abbiamo sviluppato formule che prevedono variabili dipendenti e indipendenti rispetto ai ricavi, alle tonnellate trasportate, ai chilometri, e questo ci consente di avere un’idea precisa, e in tempo reale, di ciò che sta succedendo in azienda e di fare previsioni attendibili. Attenzione, non è nulla che ci siamo inventati da un giorno all’altro: il nostro percorso è iniziato più di dieci anni fa.
Si può dire che abbia trovato le risposte che cercava.
Si può dire che ho sempre cercato il consiglio di chi ne sapeva più di me. Quando ho incontrato sulla mia strada un imprenditore con più camion dei miei me ne sono sempre rimasto zitto, sicuro di imparare qualcosa da lui. Mi dicevo: se ha fatto meglio di te, avrà per forza una visione migliore della tua. Ho fatto di tutto per scegliere i migliori suggeritori. E credo talvolta di esserci riuscito. Un nome tra tanti: Franco Fenoglio. Mi ha insegnato moltissimo, intercettando probabilmente la mia sete di conoscenza e regalandomi indicazioni che poi si sono rivelate sempre corrette. Santifico i consiglieri e d’altra parte il loro ruolo è sempre stato ritenuto sacro: non è stato forse Dante a collocare nell’ottava bolgia quelli fraudolenti?
(La domanda è retorica, ma rispondiamo lo stesso)
Sì, è stato proprio lui. Tornando al suo rapporto con i costruttori, non è dunque un caso che la sua flotta sia per metà Scania. L’altra metà, invece, è MAN…
Come Scania un altro partner affidabile. Due anni fa ho avuto il primo colloquio con Marc Martinez (amministratore delegato di MAN in Italia n.d.r.) e da allora stiamo studiando insieme a loro l’opportunità di inserire dei veicoli elettrici in flotta. Guardi – ci mostra un corposo dossier – questo è lo studio che hanno preparato gli ingegneri MAN, c’è tutto, percorsi, salite, discese, chilometri, pesi, specifiche dei veicoli. Per il momento la discussione si trova ancora su un piano teorico perché i nodi da risolvere non mancano: dove ricarichiamo, come, chi deve pagare il delta del costo del veicolo, come vanno allestiti i veicoli nel rapporto, ad esempio, tra compressori di scarico e pacchi batteria. Ma un fatto è certo, senza la consulenza di persone altamente preparate è impensabile affrontare questo passaggio. E senza i giusti tempi. E noi per riflettere sull’elettrico ci siamo presi degli anni. Ma questo vale per ogni decisione importante, calcoliamo ogni passo, considerate solo che sui nostri veicoli, tutti Euro 6, oggi stiamo portando avanti degli esperimenti sull’HVO, ma verificando attentamente se il consumo superiore richiesto da quest’alimentazione – parliamo del 6,4 per cento in più rispetto al diesel – possiamo recuperarlo dai clienti.


Ci viene naturale chiederle se la sua azienda è all’interno di qualche associazione di autotrasportatori: forse sarebbe opportuno che lei mettesse la sua visione al servizio del settore…
Facciamo parte di un’associazione da trent’anni, nel corso dei quali ho imparato moltissimo. Oggi però le strutture di alcune federazioni sono diventate elefantiache e per sorreggersi, non dico nulla di nuovo, hanno bisogno di vendere servizi. È un’attività che inevitabilmente le distrae dalla visione, da quella che dovrebbe essere la loro mission: fornire indicazioni per il futuro dell’autotrasporto. Qualche giorno fa ho imparato una bella parola francese: “tricoteuse”, così venivano definite le donne che durante la rivoluzione francese sferruzzavano a maglia nel loro bel posto in prima fila di fronte alla ghigliottina, mentre impiccavano la gente. Le federazioni sono fondamentali, ma devono tornare alle origini essere parte attiva del dibattito, e battersi per un settore più sano. Non hanno deciso forse qualcosa di estremamente intelligente in Francia dove a partire dal 1° ottobre potranno viaggiare a 44 tonnellate solamente i veicoli Euro 6? Volete sentire un’altra affermazione forte? Credo che l’Euro 5 non dovrebbe avere diritto al rimborso sulle accise. Non da domani certo, bisognerebbe dare a chi ce la fa la possibilità di adeguarsi. Io mi chiedo: perché le associazioni non domandano a gran voce misure come queste, che facilmente porterebbero ad un rinnovo del parco, a premiare le aziende sane e capaci, ad una maggiore sicurezza stradale, ad un minore inquinamento? Perché perdersi dietro le quote associative delle aziende con mezzi euro 5.
A questo punto ci è venuta proprio la curiosità di conoscere la sua storia, di sapere come tutto è iniziato.
Mio padre Giuseppe, che si occupava di commercio di materiali edili, mancò prematuramente nel 1981 e a quel punto insieme a mio fratello Ferdinando decidemmo di proseguire l’attività puntando sui servizi di trasporto. Prima che questo succedesse ero iscritto con entusiasmo alla facoltà di Ingegneria Edile: passai dall’esame di Analisi 2 a cambiare l’olio del differenziale. Ho fatto fatica, non lo nego, perché non era il mio mondo, avevo in testa altro, studiare, magari trasferirmi per un periodo all’estero. Mi sono trovato catapultato in una realtà che non mi apparteneva, senza esperienza: le dico solo che ho firmato sessanta cambiali per acquistare il mio primo camion. Ogni tanto, ma da poco, quando penso a ciò che abbiamo costruito, al fatto di essere diventati un’azienda di riferimento nel settore, di essere riconosciuti per la qualità del nostro lavoro dalle aziende per cui operiamo (tutti i principali produttori di cemento n.d.r.), mi dico: “Vabbè, ce la siamo cavata”. Ma il percorso è stato lungo e difficile. E la ferita di non aver portato a termine gli studi è ancora aperta.
Non avrà la laurea, però i numeri è riuscito ad onorarli lo stesso: l’approccio che ci ha descritto è molto “da ingegnere”.
Un po’ da ingegnere e un po’ da filosofo, se ne sarà accorta dalle chiacchiere che abbiamo fatto. Credo che gli anni di Politecnico mi abbiano assegnato una forma mentis specifica. Poi magari quelli che non si fanno venire tutti i dubbi che tormentano me vivono meglio. Una cosa è certa: non è ammissibile fatturare milioni e alla fine ritrovarsi solo con qualche migliaio di euro di utili. A quel punto bisogna andare a fare un altro mestiere. Noi autotrasportatori dobbiamo lavorare e lottare perché la nostra professionalità sia sempre più elevata, perché i benefici del miglioramento saranno a quel punto condivisi non solo dal settore ma da tutto il Paese.


