Brancato, Gruppo Amati: ripartiamo dalle strutture, ciò di cui l’Italia ha bisogno

È una pietra miliare nella strada di sviluppo di Gruppo Amati l’apertura, ormai un anno e mezzo fa, della sede di Orbassano, alle porte di Torino, all’interno dell’interporto S.I.T.O. Un’intuizione, o meglio, una mossa strategica ben studiata che infatti si è rivelata vincente e che ha presto richiesto a Gianluca Amati la nomina di un alter ego per la gestione e l’implementazione dei servizi offerti dalla struttura.

Un responsabile dunque che scopriamo non essere un nome nuovo nel panorama del settore, trattandosi di Antonio Brancato, manager di lungo corso entrato proprio per questo nel mirino dell’imprenditore laziale che si è così aggiudicato, per il suo prezioso avamposto torinese, centro nevralgico per lo sviluppo dell’attività del Gruppo in tutto il Nord Italia, un professionista di grande competenza ed esperienza. Lo incontriamo a poche settimane dall’insediamento ufficiale, per farci raccontare questo grande cambiamento professionale, ma anche chiedergli di tracciare un quadro delle prospettive che ritmano oggi il suo lavoro.

Antonio Brancato, ci dia la sua versione: come mai Gianluca Amati ha scelto proprio lei?

Quando sono stato raggiunto dalla chiamata di Gianluca ero product manager in Scania, dove per sette anni mi sono occupato del lancio prima e poi a seguire della commercializzazione del Touring. Ho sempre rispettato un’idea, e la mia carriera un po’ lo dimostra: quando si profilano occasioni importanti, utili non solo per cambiare ma anche per crescere, bisogna coglierle al volo. Ho riflettuto qualche giorno sul ruolo che mi veniva proposto e ho compreso che si trattava in un certo senso di un completamento professionale di tutto ciò che avevo seguito fino a quel momento. Ho ricoperto infatti per tanto tempo incarichi commerciali occupandomi di prodotti nuovi e usati: oggi ho la possibilità di approfondire il post vendita, o meglio, il mondo delle riparazioni e delle manutenzioni. E poi mi ha stuzzicato il fatto che Gruppo Amati ha sì un nome importante e una storia di successo alle spalle, ma è nuova sul territorio del Piemonte, che dal canto suo aveva bisogno di un’officina indipendente che racchiude in una sola struttura diverse specializzazioni: bus, trucks, trailers e carri ferroviari. Per cui mi sono detto: mi piace, vediamo come posso essere utile a fare crescere questa “start-up”.

È vero che arriva da un mondo diverso, quello della vendita, ma negli ultimi anni si è occupato di bus e, il Gruppo Amati, ha un focus molto importante su questo mondo… 

Sì, abbiamo un’attenzione speciale al mondo bus, autobus urbani e elettrici in particolare, avendo contratti di servizio con importanti aziende fornitrici di società di trasporto pubblico. Precedentemente mi occupavo di un altro mondo, quello della vendita degli autobus turistici. Il tema del servizio pubblico mette sul tavolo tematiche completamente differenti, così come diverse sono le tempistiche per la manutenzione e riparazione, dovendo soddisfare altissimi standard qualitativi e temporali. Gruppo Amati è qui per questo: il ruolo di branch manager mi incarica della responsabilità di dirigere il centro di Torino, dove mi occupo di gestire in officina i tempi e i modi da seguire per lo svolgimento delle varie attività. Tenendo sempre presente che le intenzioni sono quelle di espandersi, e prima di tutto in Liguria, quindi su Genova, Savona e La Spezia, ma anche in eventuali altri mercati che dovessero rivelarsi utili per la crescita aziendale. 

Le officine di Gruppo Amati, e la branch di Orbassano, non si dedicano però solo al bus…

La dicitura è officina meccanica: ripariamo e manuteniamo tutto quello che di meccanico ci può essere in un veicolo. Nel DNA dell’azienda c’è innanzitutto il truck, ma anche tematiche di nicchia come la riparazione dei carri ferroviari. A Torino per il momento ci occupiamo delle casse mobili che vengono posizionate sui carri ferroviari, ma presto copriremo tutto il settore: certo, servono spazi, rotaie e la strumentazione giusta, ma siamo in grado di estendere il nostro know how ai carri e lo faremo presto. Abbiamo anche un progetto di miglioramento degli accessi all’impianto con la realizzazioni di rampe e sistemi di sollevamento proprio per le casse mobili e per i rimorchi. E inoltre stiamo ripensando e strutturando gli spazi per ospitare all’interno del grande capannone i veicoli, e poter riparare così al coperto. A fine lavori avremo i settori ben divisi, quello dedicato ai truck e la parte di officina al lavoro sui bus, oltre al personale specialista nella riparazione di semirimorchi e casse mobili. Inoltre abbiamo il banco a rulli per le revisioni periodiche sia sui truck che sui bus, operiamo revisioni di motori, e presto anche dei cambi di velocità ZF e Voith.

Come procedono i rapporti con le aziende che operano all’interno dell’interporto?

I numerosi veicoli che gestiamo in officina provengono da una clientela diversificata. Molti di questi clienti arrivano da aziende con sede all’interno di S.I.T.O.. Se stiamo facendo bene e riusciamo a farci conoscere sempre di più è anche e soprattutto grazie al lavoro del mio collega Pietro Gentile che, insieme a me, gestisce l’attività: si è occupato sempre di ricambi dal punto di vista commerciale e oggi è lui soprattutto a mettere a disposizione le conoscenze dirette dei clienti. In generale lavoriamo seguendo un principio: se siamo in grado di rispondere bene alle esigenze delle aziende, queste non solo torneranno, ma daranno anche il via a quel passaparola che sappiamo tutti essere un’arma formidabile in termini di conquista della clientela.

Antonio, lei è un grande conoscitore del nostro settore. In questo momento quali sono i problemi che sarebbe più urgente risolvere?

Il problema più grave, comune al trasporto merci e a quello passeggeri, è sicuramente la carenza di autisti. Ma il tema che mi preme sottolineare con forza è quello infrastrutturale, e in questo ambito, mi sento di affermare che il territorio italiano deve offrire infrastrutture degne di questo nome. Per esempio le autostazioni sono insufficienti e inospitali: non è ammissibile lasciare le persone in attesa del bus senza riparo. Le strutture sono fondamentali: lo sono le officine per riparare i mezzi e renderli efficienti in tempi brevi, lo sono le strade, che devono essere sicure, lo sono le ferrovie, i porti e gli aeroporti. È anche una questione di immagine, e pensiamo al turismo, che contribuisce in larga parte al Pil nazionale. Credo che l’Italia soffra – anche – di questo: siamo destrutturati e affrontiamo un importante momento di sviluppo economico con armi spuntate. 

Bio

Antonino Brancato è nato a Vipiteno nel 1961. Figlio di un alpino, ha seguito papà a Susa quando aveva quattro anni. “Sono piemontese d’adozione e questa regione devo molto: è qui che ho studiato e iniziato a lavorare”. Laureato in scienze politiche a indirizzo economico internazionale, Antonio avrebbe voluto fare l’ambasciatore, se non avesse incontrato Iveco sulla sua strada. “In Iveco ho trascorso gran parte della mia carriera: sono stato responsabile del marketing del Daily, poi al settore dei pesanti, e infine mi sono specializzato nell’usato diventando responsabile usato prima per il mercato Francia, poi per il mercato Italia e da ultimo per EMEA”. Nel 2014, uscito da Iveco, Brancato è stato per un anno e mezzo direttore operativo in Fraikin, e poi l’approdo in Scania. “Lo so che è un commento comune, ma devo dire che ciò che amo di più è viaggiare. Il mio desiderio più grande è sempre stato fare il giro dell’Europa partendo da Capo Nord e arrivando fino in Grecia: prima o poi mi toglierò questa soddisfazione”. 

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