Carenza autisti, la ricetta di Flixbus per frenare l’emergenza

Organizzato a Milano, FlixTalk ha messo in dialogo politica, istituzioni e professionisti, suonando la campanella d’allarme: i posti di lavoro vacanti in Europa potrebbero raggiungere le 275mila unità già entro il 2028, con gravi ripercussioni sui collegamenti nazionali.
28 Maggio 2024
7 mins read
Flixbus

Carenza autisti, un problema socio-culturale ancor prima che economico. Per gli ospiti intervenuti a Milano al primo FlixTalk del 2024, ciclo di incontri dedicato ai temi caldi del trasporto dalla compagnia turistica FlixBus, le soluzioni sono già chiare e vanno solo riportate al centro del dibattito nazionale.

Proprio per rafforzare il collegamento fra istituzioni pubbliche e professionisti, all’evento hanno preso parte Carlo Fidanza, eurodeputato alla Commissione Trasporti e Turismo, i colleghi Flavio Tosi e Giulia Pastorella, rispettivamente vicepresidente e membro della Commissione IX Trasporti alla Camera dei Deputati, a confronto con il presidente di Anav Nicola Biscotti e con Andrea Incondi, managing director di FlixBus Italia.

La crisi in dati

I dati 2023 dell’Organizzazione mondiale del trasporto su strada (IRU) sono allarmanti in relazione al presente, ma anche e soprattutto rispetto a un futuro quanto mai prossimo: se la scorsa stagione sono mancati all’appello 105mila autisti in Europa, pari al 10 per cento del totale, senza interventi mirati il loro numero potrebbe salire a 275mila già entro il 2028.

Al momento, infatti, l’82 per cento delle aziende di settore risulta in forte difficoltà nel reperimento di nuovo personale. “All’impiego di autisti non c’è alternativa – ha dichiarato in apertura Nicola Biscotti, presidente Anav – perché gli autobus si muovono solo se sono guidati da personale esperto. Guardando indietro, è evidente che ancora 40 anni fa questa professione rappresentava un’opportunità di affermazione sociale e i giovani stessi ambivano a conquistarsi un posto di lavoro nel settore.

Gradualmente l’appeal è venuto però a mancare, insidiato anche dalla maggior mobilità offerta dalla nostra società, tanto che nell’ultimo decennio le aspirazioni lavorative sono cambiate radicalmente: la carenza di autisti – pari oggi a circa 8mila unità in Italia – è speculare alla carenza di personale nel settore ricettivo ed alberghiero. Non dobbiamo però commettere l’errore di pensare che questo disaffezionamento sia uniforme in tutt’Italia o legato solo ad aspetti di status symbol o remunerazione”.

Agevolare la CQC

La situazione di mercato presenta sensibili differenze fra nord e centro-sud del Paese, dove la professione di autista esercita un’attrazione più forte, seppur con squilibri remunerativi rispetto al Settentrione.

Ad aver gettato sabbia negli oliati meccanismi del ricambio generazionale è pure la politica: oggi la licenza di guida per autobus e mezzi pesanti viene acquisita a 24 anni, un’età troppo alta perché crea uno iato fra studi superiori e sbocco professionale, durante il quale prendono forma scelte poi vincolanti per il futuro.

Vero è che l’Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori ha più volte rivolto solleciti alla Commissione Trasporti italiana, invitando ad abbassare a 18 anni l’accesso alla patente D e riformando di conseguenza il Codice della Strada. Una pressione rivelatasi efficace e tale da poter facilitare in futuro le condizioni di reperibilità delle nuove leve.

“Il costo di ottenimento della Carta di qualificazione del conducente, meglio nota come Cqc, resta però troppo alto – ha aggiunto Biscotti – e per quanto il Governo abbia stanziato risorse, queste non sono ancora sufficienti per mitigare il problema.

Oltre a rimpinguare la voce di bilancio, serve finalizzare meglio questi fondi: oggi non sono rari i casi di persone che usufruiscono dei percorsi agevolati per l’ottenimento della Cqc, salvo privilegiare subito dopo altre professioni di maggior attrattiva e tenendo in mano la ‘carta’ come un jolly da giocare in caso di bisogno. Il Bonus Patente andrebbe dunque concesso a chi ha già un accordo di lavoro nel settore ed è pronto a integrarsi proprio per questo”.

Troppe ore, poca voglia

Non va neanche trascurato il fatto che le 250 ore di formazione richieste siano sempre più motivo di insofferenza fra i giovani. Abituati alla velocità e alla semplicità, le generazioni digitali tendono a evitare percorsi complessi: secondo un documento prodotto nel 2019 dalla Commissione permanente del Senato, questo rifiuto è ascrivibile anche a un problema di deficit cognitivi e comportamentali indotti dall’uso eccessivo della tecnologia digitale.

Una possibile soluzione, suggerita da Anav, consisterebbe allora nel trasferire parte del monte ore nell’offerta formativa scolastica, in particolare nei programmi degli istituti tecnici con vocazione alla mobilità sostenibile.

Parallelamente andrebbero poi migliorati i rapporti internazionali con i Paesi da cui provengono autisti già formati, agevolando l’omogeneizzazione degli standard di guida: ricorrere ai cosiddetti “click day” per accedere ai bonus governativi è una modalità troppo caotica, generica e opportunista, ragion per cui dovrà essere fatta pressione sul Ministero dei Trasporti per ideare un approccio più efficace.

Procrastinare questi interventi potrebbe risultare fatale per la mobilità italiana: nel nostro Paese esistono ancora troppe località non raggiungibili con mezzi pubblici e solo su gomma, col rischio dunque di far esplodere una bomba sociale già entro 5 o 6 anni.

Una professione “Cool”

“Abbiamo rilevato una forte propensione ad assumere da parte delle aziende di settore – ha osservato Andrea Incondi, managing director di Flixbus Italia – ma il disallineamento fra domanda e offerta presenta molteplici ragioni.

Basti pensare che meno del 10 per cento degli autisti odierni rientra nella fascia d’età 25-30 anni, mentre la stragrande maggioranza è ormai prossima al pensionamento. Esiste inoltre uno scompenso di genere: il lavoro di autista continua a essere visto nei Paesi occidentali come professione maschile, ma se in Europa solo il 16 per cento delle donne riveste questo ruolo, in Italia il valore crolla al 6 per cento: addirittura al 2 nel Meridione.

Questo rappresenta un potenziale bacino su cui focalizzare l’attenzione in termini di pari opportunità. Svolgere lavoro di autista non dev’essere inteso come un ripiego o una specializzazione di genere, ma come un’opportunità “cool” per stare in movimento, per viaggiare, per conoscere più persone. Teniamo inoltre conto che, negli anni, è venuto a mancare il contributo di professionalizzazione offerto dalla leva militare, al termine della quale era possibile ottenere la patente per guidare mezzi pesanti”.

Fra i fattori che spiegano la minor disponibilità di donne nel settore, va pure considerata la minor sicurezza a bordo dei mezzi pubblici, cui è difficile far fronte per via della concomitante mancanza di agenti di polizia. In risposta alla persistente carenza, FlixBus ha provato a lanciare nel 2019 un progetto di FlixAcademy insieme ad alcuni suoi partner, onde agevolare l’abbattimento dei costi della Cqc (oggi stimati in Europa fra i 3 e i 5mila euro). L’iniziativa ha riscosso subito successo, riuscendo a formare una ventina di nuovi autisti e inserendoli direttamente presso i propri partner.

A esercitare attrazione, indubbiamente, l’ampia visibilità e la forte riconoscibilità del brand, cui è associata un’idea di sostenibilità di presa immediata sulle nuove generazioni, ma anche un’offerta formativa più sfaccettata: perfezionamento della lingua inglese in vista di missioni all’estero, gestione psicologica dei conflitti, dello stress e del sonno, arrivando anche a focus su dieta e igiene.

Per “svecchiare” la formazione dell’autista, dunque, occorre non limitarsi ai soli aspetti tecnici del mestiere, ma sviluppare ambiti più integrati alla vita quotidiana e alla cura di sé. Se l’irrompere della pandemia ha interrotto l’attività dell’Academy, sull’onda dell’attuale carenza personale il progetto è stato rilanciato a Roma da FlixBus, sempre insieme a propri partner.

Sburocratizzare la politica

“Abbassare la soglia d’età per ottenere la CQC (Carta di Qualificazione del Conducente) – ha dichiarato l’eurodeputato Carlo Fidanza – non è visto da tutti i partecipanti alla Commissione Trasporti come soluzione ottimale; questo perché si lega anche a un discorso di sanzioni e riconoscimento di titoli guida disomogeneo in Europa, finendo spesso per far prevalere punti di vista nazionali anziché comunitari.

Ora si parla addirittura di abbassare a 17 anni la possibile età per il permesso di guida, purché accompagnati. Il percorso di revisione della Direttiva patenti è sicuramente complesso, ma l’obiettivo deve restare la sburocratizzazione delle procedure, tant’è che in Italia sarebbe opportuno modificare anche il limite di uscita dalla professione: alcuni autisti sono stati indotti a lasciare il posto di lavoro nella fascia d’età 50-55 anni, non avendo competenze adatte per la ricollocazione. I mezzi su cui ci si muove oggi, d’altra parte, sono sempre più tecnologici: una trasformazione che contribuisce anche a migliorare la qualità della vita dell’autista, ma da comunicare meglio per modificare l’immaginario tradizionale e declinante.”

“Il discorso sui limiti d’età è un tema caldo del confronto sul nuovo Codice della Strada – ha confermato Giulia Pastorella, membro della Commissione IX Trasporti alla Camera dei Deputati – ma non mancano altri motivi di attrito. Ad esempio, su chi dovranno ricadere le conseguenze relative al maggior inasprimento delle pene in caso di guida sotto effetto di alcool o droghe? Sul lavoratore o sull’impresa che non è sufficientemente vigile? Da questo dibattito potrebbero scaturire scelte sull’obbligo d’installazione degli alcol test su tutti i mezzi pesanti, com’è già previsto sugli autobus locali, o trovare nuovo slancio per proposte al momento bocciate come l’impiego dei simulatori di guida per ridurre il monte ore di formazione.”

Per l’immediato futuro occorrerà perciò focalizzarsi su interventi strategici su più livelli. Creare negli istituti scolastici un indirizzo di formazione specifico per il settore. Riportare al centro della politica i temi del trasporto e della logistica, così da agevolare iniziative di promozione mirate anche sui territori.

Migliorare la comunicazione tematica, tenuto conto che il trasporto pubblico urbano paga tuttora le conseguenze delle errate campagne d’informazione della pandemia e sulla sua “maggior pericolosità sanitaria” (dato smentito dal fatto di essere stato fonte di contagio appena nell’1% dei casi in tutta Europa): su un campione di 100 persone che quotidianamente si spostano per andare al lavoro, solo il 15% ricorre oggi ai mezzi pubblici. Pur invocando continuamente il tema della sostenibilità, i sindaci sono invece i primi a ostacolare l’ingresso dei bus nei centri storici, non rendendosi conto che il “fastidio” generato dalle loro grandi dimensioni corrisponde all’impiego medio di 20 auto in meno in circolazione.

Ma la lista delle nuove opportunità continua ad allungarsi: serve valutare l’impiego su brevi tratte di veicoli a guida autonoma, come già fatto sperimentalmente in Paesi come la Francia, la Germania o in aree italiane innovative come l’Alto Adige. Serve rafforzare le risorse finanziarie, visto che il fabbisogno di settore è cresciuto in meno di un anno dai 4,9 miliardi del 2023 ai 5,2 del 2024, pur continuando ad avere uno dei parchi mezzi più vecchi d’Europa (media 13 anni).

Andrebbe pure deideologizzata la battaglia per i limiti di velocità nei centri urbani, ripensando gli assetti urbanistici anziché creare complicazioni alla vita degli autisti e, soprattutto, approntando un piano di rilancio delle autostazioni italiane. Proprio una ricerca di FlixBus ha confermato che, in caso di strutture più accoglienti, gli utenti sarebbero disposti a viaggiare il 20% in più e a sostenere pure aumenti del costo dei servizi dall’8 al 20% in più. Per la politica italiana ed europea è tempo d’ingranare la quinta, più che invocare il limite dei 30 km/h.

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