Donati, Assotir: blocco Euro 5 e subvezione, le nostre battaglie per il settore

28 Luglio 2025
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Intervista esclusiva a Claudio Donati, segretario generale Assotir

Dal primo ottobre del 2026 e fino al 31 marzo 2027, in un’intervallo di tempo che si ripeterà ogni anno, in Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna, auto e veicoli commerciali diesel Euro 5 non potranno più circolare durante i giorni feriali, nella fascia oraria compresa tra le 8.30 e le 18.30, nei comuni con popolazione superiore ai 100mila abitanti. E’ la nuova formulazione della discussa norma sul blocco degli Euro 5, i veicoli immatricolati tra il 2011 e il 2015, che posticipa di un anno e restringe il parco che verrà fermato d’ora in poi per sei mesi all’anno. Sul tema abbiamo intervistato Claudio Donati, segretario generale di Assotir, da vent’anni in prima linea per la difesa degli interessi dei piccoli e medi autotrasportatori.

Claudio Donati, cosa pensa della norma e della sua riformulazione?

La norma è di derivazione europea e l’applicazione era necessaria: non mettiamo in discussione la misura in sé, ma la sistematica mancanza di una programmazione di questi eventi impattanti, che andrebbero accompagnati e costruiti dopo aver ascoltato anche le parti in causa, e quindi noi che rappresentiamo i proprietari dei mezzi di trasporto. Per sostituire il parco dei veicoli Euro 5 – sia pure nei comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti, e non più 30.000 come precedentemente stabilito –  è necessario un investimento enorme, al di là della portata delle aziende coinvolte

Qual è la posizione di Assotir in merito? 

Innanzitutto chiariamo che la proroga di un anno è insufficiente. Apprezziamo la posizione di questo Governo che ha sempre espresso un’energica contestazione nei confronti della delirante politica green dell’Unione europea, ma bisogna dire che tra dodici mesi la situazione non sarà cambiata. Chiediamo per questo la costituzione immediata di un tavolo di lavoro con gli enti e le rappresentanze economiche e sociali coinvolte che possa arrivare a definire una strategia, anche eventualmente transitando da un contributo pubblico in grado di facilitare gli investimenti. Quali veicoli vadano a quel punto acquistati è un altro tema: non possiamo certo pensare di convergere sugli Euro 6, essendo chiaro come anche questa classe ambientale sia destinata ad una rapida obsolescenza.

E quindi? Elettrico? 

Per forza. Soprattutto per le piccole portate si dovrà andare sulla batteria, con i costi, i problemi di infrastrutture e di tenuta della rete elettrica che ben conosciamo. Ancora una volta: non si può pensare di compiere il passaggio da un giorno all’altro, ma è necessario costruire un percorso, a maggior ragione per gli imprenditori che operano nel settore della distribuzione che è, com’è noto, a bassissima, per non dire a zero redditività. Senza una programmazione sarà ancora più complesso disporre investimenti che tra l’altro molto probabilmente il mercato non riconoscerà nemmeno: io ho l’impressione che il rischio, se non entra in gioco la politica, è quello di una selezione perversa. Chi ha più risorse ha la possibilità di rispettare la norma, chi non ne ha viene tagliato fuori. 

Lei non crede che il mondo del trasporto avrebbe bisogno di una selezione rispetto al numero di operatori? 

È chiaro che il sistema attuale necessita di un cambiamento importante: l’estrema frammentazione delle aziende di trasporto è funzionale ad un contenimento delle tariffe che va ad esclusivo vantaggio della committenza. Ma la soluzione non può essere un passaggio forzato all’elettrico quando non ne sussistono i presupposti. Piuttosto noi come associazione cerchiamo di favorire forme di aggregazione tra imprese, come il consorzio CON.S.A.T., esperienza imprenditoriale nata per creare un vettore nazionale in grado di dare risposte al mercato, mettendo insieme imprese dislocate su tutto il territorio nazionale e con un parco veicolare molto diversificato a copertura dei settori più svariati. Crediamo sia una strada vincente per promuovere un autotrasporto in grado di costruire una relazione di pari livello con la committenza, di spuntare tariffe adeguate, che poi sono quelle che consentono di mettere a terra gli investimenti. Altrimenti solo le multinazionali con la loro potenza finanziaria gigantesca saranno in grado di lavorare, anche in perdita inizialmente, per conquistare fette di mercato. 

I vostri soci aderiscono con entusiasmo alle iniziative di accorpamento?

Ai nostri imprenditori stiamo soprattutto chiedendo un salto culturale, di mentalità, e non le nascondo che c’è molta resistenza. L’azienda è in un certo senso la manifestazione dell’ego dell’imprenditore, orgoglioso – giustamente – dei risultati ottenuti negli anni a prezzo di innumerevoli sacrifici. È molto difficile che condivida i suoi traguardi con altri, magari addirittura con persone che fino a quel momento sono state percepite come competitor. In più molti di loro hanno partecipato in passato a forme associative che alla fine non hanno dato i frutti sperati e quindi sono prevenuti nei confronti di questo tipo di proposte. Forse le nuove generazioni sono maggiormente disposte a ‘pensare in grande’ e per questo puntiamo su di loro, anche se il nostro è un settore al quale i giovani si avvicinano con molta difficoltà, con un passaggio generazionale più che contenuto. I trasportatori ai figli dicono: ‘fate un altro mestiere’.

Assotir quest’anno compie 20 anni: rappresenta in Italia circa 3200 imprese per un totale di circa 50 mila veicoli. Lei era presente già nel momento della costituzione: è soddisfatto dei risultati ad oggi?

Diciamo che continuiamo la nostra battaglia. Assotir è partita in contestazione rispetto alle associazioni storiche, quando nel 2005 vennero abolite le tariffe a forcella, uno strumento che assicurava un minimo tariffario all’autotrasportatore. Abbiamo raccolto il malcontento creato dalla liberalizzazione, proclamandoci e mantenendoci sempre autonomi dalla committenza, ma soprattutto dalla politica.

Ma il discorso che facevamo per i trasportatori, quindi la necessità di unirsi, secondo lei non vale anche per i rappresentanti datoriali? Il numero delle sigle non è troppo elevato? 

La pluralità esistente nella rappresentanza dipende da un conflitto di interessi interno al settore che riguarda una delle battaglie principali che Assotir sta portando avanti. Oggi in Italia quando un imprenditore decide di intraprendere il mestiere dell’autotrasportatore si iscrive all’albo, acquista un camion e solo con quello può stipulare contratti per decine, centinaia di milioni, anche per miliardi, teoricamente. E come fa, se possiede un solo camion? Acquisisce il contratto di trasporto e lo subappalta a trasportatori che dispongono dei mezzi. Ecco, oggi queste realtà sono quelle che controllano il mercato, però non sono veri autotrasportatori, sono dei semplici intermediari. Il dramma è che le loro rappresentanze siedono al tavolo delle associazioni dell’autotrasporto, e lei può immaginare quanto possano essere d’accordo con quello che sosteniamo noi: queste aziende hanno interesse a tenere le tariffe basse perché il loro lavoro è quello di concludere il contratto, ritagliarsi una percentuale e trovare chi il trasporto è disposto a portarlo a termine a qualsiasi prezzo: esiste sempre il padroncino disperato che, piuttosto che tenere il camion fermo, lavora sotto tariffa.

Quali sono le armi che avete come Assotir per aiutare questi padroncini?

Noi ci stiamo battendo da cinque anni perché l’Italia recepisca il Regolamento UE 2020/1055 secondo il quale per fare il mestiere di trasportatore in Europa bisogna avere, rispetto al fatturato sviluppato, un numero di veicoli e di risorse umane addette alla loro guida che sia proporzionale. Una percentuale in subappalto, o subvezione, corrisponde certamente a legittime esigenze di flessibilità, ma secondo una nostra analisi i primi dieci operatori logistici che operano in Italia sviluppano 14 miliardi di fatturato sui 60 totali del settore e non arrivano a coprire con mezzi propri neanche il 5 per cento di questi 14 miliardi: significa che 13,3 miliardi sono oggetto di intermediazione.

Questa non è flessibilità. Poi succede pure che spesso dal primo livello di subvezione si scenda a livelli inferiori, e così nelle tasche di chi effettivamente si occupa del viaggio, e dei relativi investimenti e di tutti i rischi connessi, di una tariffa di valore 100, arriva il 30, il 40 per cento. Noi come Assotir chiediamo con forza il recepimento da parte dell’Italia di questa norma: pochi giorni fa è stata persino rinnovata, perché finora non esercitata, la delega al Governo per procedere e se continuerà a non farlo subirà la procedura di infrazione. È ovvio che se tutti i rappresentanti datoriali fossero trasportatori veri, spingeremmo nella medesima direzione. Per il momento dobbiamo continuare con la nostra sola voce una battaglia giusta della quale sono certo che presto vedremo la conclusione.

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