Intervista esclusiva a Giovanni Dattoli, Presidente della Sezione Veicoli Industriali UNRAE
L’elezione all’unanimità di Giovanni Dattoli alla Presidenza della Sezione Veicoli Industriali di UNRAE arriva in un momento decisivo per l’intero comparto del trasporto industriale. Un settore che, pur mantenendo volumi significativi e tutto sommato costanti rispetto allo scorso anno, si trova oggi immerso in un complesso contesto di trasformazione: transizione energetica, evoluzione normativa europea, pressione competitiva internazionale, fabbisogno crescente di competenze tecniche e scarsità di manodopera qualificata. In questo scenario, la nomina di Dattoli rappresenta un segnale forte di continuità e, allo stesso tempo, di orientamento strategico. In questa intervista — raccolta poche ore dopo la conferma ufficiale — emerge una visione chiara e pragmatica: valorizzare il lavoro di squadra, sviluppare una direzione condivisa sulla pluralità tecnologica, rafforzando contestualmente la collaborazione con la committenza, le associazioni di trasporto e le istituzioni. E affrontare con coraggio il tema della comunicazione e dell’attrattività del settore. Una fotografia ampia e lucida di ciò che il settore dovrà costruire nei prossimi anni.

Presidente, innanzitutto, congratulazioni. Iniziamo con una domanda di rito: che significato ha per lei questa nomina e qual è stato il suo primo pensiero dopo l’elezione all’unanimità?
Prima di tutto, è un grande piacere e un grande onore. Ma la soddisfazione più profonda nasce dalla fiducia dei colleghi. Essere indicato all’unanimità significa che non solo hai lavorato bene, ma che hai lavorato con credibilità e correttezza, con uno stile riconosciuto anche dai concorrenti. E quando la “pacca sulla spalla” arriva da chi compete con te ogni giorno, assume un peso ancora maggiore. Nel nostro settore si lavora tanto, spesso in modo silenzioso, e sapere che gli altri ti chiedono di rappresentarli perché vedono in te un interprete affidabile è qualcosa che va oltre il ruolo formale: è una responsabilità personale, oltre che professionale.
E che significato ha per Volvo Trucks la sua nomina?
Prima ancora della riunione che ha portato alla mia nomina, avevo condiviso questa possibile opportunità con il management del Gruppo, e la risposta è stata immediata e positiva: in questo momento storico è fondamentale essere presenti nei luoghi in cui si definisce il futuro del trasporto. In Volvo esiste una cultura forte dell’impegno nei confronti del settore e delle associazioni. La volontà di partecipare attivamente ai processi di trasformazione non è un optional, è parte della nostra identità. C’è poi un tema di coerenza: i valori che porto come persona e come professionista sono allineati con quelli dell’azienda che rappresento. Quando in Volvo Trucks diciamo che vogliamo essere “parte della soluzione” parliamo di un impegno concreto. Transizione, sostenibilità, riduzione dei combustibili fossili, qualità delle tecnologie: tutto ciò che riteniamo importante come azienda è esattamente ciò che ritengo importante anche a livello individuale. Questo allineamento ha reso la nomina un fatto naturale. Ed è positivo che un Costruttore importante come Volvo consideri il contributo associativo parte integrante della propria missione.

Quella che il settore sta vivendo e vivrà nei prossimi anni è sicuramente una fase cruciale: la transizione energetica dei veicoli porta con sé enormi sfide. In questo contesto, quale sarà la priorità assoluta del suo mandato?
Senza dubbio dare una direzione alla pluralità tecnologica. È un tema che tutti i player del settore riconoscono, ma che richiede un salto di qualità nella gestione. La pluralità è una grande opportunità, perché consente di sviluppare tecnologie diverse, che si prestano a usi differenti. Ma significa anche diluire gli investimenti, frammentare la ricerca e rallentare la capacità di scelta. Oggi si parla di elettrico, di idrogeno, di biocarburanti avanzati, di soluzioni ibride, di ottimizzazione estrema dei veicoli endotermici. Tutto questo è positivo, ma crea un’incertezza profonda su quali tecnologie saranno davvero performanti nel lungo periodo. Per i trasportatori — che devono comprare veicoli e pianificarne l’utilizzo per anni — questa incertezza non solo crea confusione, ma nasconde un rischio enorme. E il settore ha bisogno di ridurre il rischio, non di aumentarlo. La priorità, quindi, è individuare insieme una direzione credibile, realistica, sostenibile, pur mantenendo un approccio tecnologicamente aperto.
Come si può portare chiarezza in un contesto così frammentato come quello dell’autotrasporto italiano?
La chiarezza arriva solo da un approccio sistemico. La transizione non è semplicemente l’acquisto di un mezzo alimentato in modo diverso: è un ecosistema. Servono veicoli adeguati, infrastrutture di ricarica e rifornimento diffuse, energia disponibile a costi sostenibili, competenze tecniche aggiornate, incentivi chiari e stabili, una normativa comprensibile e non contraddittoria e, soprattutto, tempi compatibili con gli investimenti. Oggi, invece, abbiamo una stratificazione di regole europee applicate in modo diverso dai Paesi membri della UE, tecnologie che avanzano a ritmi diversi e un livello di infrastrutture che non è omogeneo. Il risultato è una transizione a velocità variabile, che crea confusione negli operatori. Dobbiamo lavorare per rendere questa equazione più equilibrata. La tecnologia da sola non basta: deve essere sostenuta da un contesto pronto ad accoglierla.

Un contesto in cui anche la committenza ha il suo peso. Che ruolo deve avere in questa fase, a suo avviso?
Un ruolo essenziale. La committenza è parte integrante della filiera del trasporto, e anch’essa si è data obiettivi molto ambiziosi: molte aziende hanno firmato impegni di riduzione delle emissioni e devono dimostrare progressi concreti. Ma per farlo devono collaborare con i trasportatori e con i costruttori. Il punto chiave è che la sostenibilità ha un costo, che non può essere scaricato solo su uno o due attori della filiera. È necessario accettare che ogni passaggio – dalla tecnologia ai mezzi, dall’infrastruttura al servizio – comporta investimenti, compromessi e anche sacrifici. O condividiamo oneri e responsabilità, oppure la transizione rischia di diventare insostenibile. E soprattutto, non possiamo chiedere al trasportatore di assumersi da solo il rischio tecnologico: un investimento errato oggi può avere conseguenze enormi sul futuro della sua azienda. Dobbiamo accompagnarlo nel prendere decisioni ponderate.
E per quanto riguarda il rapporto con le altre associazioni di categoria?
È altrettanto decisivo. Negli ultimi anni abbiamo imparato una lezione molto chiara: muoversi da soli non paga. Le sfide che abbiamo davanti richiedono un fronte comune. Conosco bene i rappresentanti delle altre associazioni e da parte mia c’è la massima disponibilità a collaborare. Dobbiamo costruire un dialogo solido, continuo, costruttivo. Il Governo, da parte sua, ha bisogno di interlocutori autorevoli e compatti. Presentarsi uniti significa avere più forza, più credibilità e una maggiore possibilità di incidere nei processi decisionali. Il trasporto industriale non può permettersi frammentazioni: se vogliamo portare a casa risultati concreti, dobbiamo lavorare insieme.
Dal punto di vista del mercato, come giudica il momento che stanno vivendo i veicoli industriali?
Il momento è complesso, ma non impossibile. Il 2025 registrerà un i volume simile allo scorso anno, e questo dimostra che il settore mantiene una sua solidità e la domanda continua ad essere stabile.. Questo però non significa che possiamo accontentarci. Dobbiamo continuare a migliorare, a ottimizzare i processi, a investire nelle competenze, a innovare i prodotti. E allo stesso tempo dobbiamo tenere conto del contesto economico dei clienti, che rimane delicato. L’equilibrio tra sostenibilità economica, ambientale e sociale è sempre più centrale.

Oltre alla transizione energetica, c’è un altro tema urgente sul tavolo, giusto?
La carenza di personale qualificato. È un tema che attraversa tutta la filiera: mancano autisti, mancano tecnici specializzati, mancano figure in grado di gestire la complessità della transizione. È un problema che rischia di compromettere l’efficienza del trasporto nei prossimi anni. Inoltre, nelle reti di vendita e assistenza il ricambio generazionale non procede sempre come ci si aspetta. Il rischio è quello di vedere una progressiva perdita di competenze storiche senza una sostituzione adeguata. Servono percorsi di formazione specifici, serve investire nelle scuole, nelle accademie tecniche, nei programmi di avvicinamento dei giovani al mondo del trasporto. Se non torniamo ad attrarre talento, rischiamo di rallentare proprio nel momento in cui serve accelerare.
In un contesto così complesso come quello che ci ha descritto, che ruolo possono avere i media specializzati e la comunicazione?
Un ruolo determinante. Spesso si pensa che basti informare, ma la comunicazione oggi deve soprattutto creare cultura e rinnovare la percezione del settore. Dobbiamo raccontare un mondo che è cambiato radicalmente rispetto al passato: veicoli connessi, tecnologie avanzate, nuove professioni, nuovi orizzonti di carriera. I media devono aiutarci a raggiungere generazioni nuove, usare linguaggi più contemporanei, lavorare sui canali digitali e sulle piattaforme che utilizzano i giovani. Non si tratta di fare intrattenimento, ma di creare una narrazione che faccia capire quanto il trasporto industriale sia un settore vivo, moderno, strategico per l’economia. Da parte nostra, continueremo a investire nella digitalizzazione della comunicazione. Ma è fondamentale che questo percorso venga condiviso anche dai media: solo così potremo davvero costruire una comunità che guarda al futuro con entusiasmo.
Se le chiedessi di riassumere in poche battute l’obiettivo che si dà per questo triennio di presidenza, cosa risponderebbe?
L’obiettivo è lavorare insieme per tracciare una direzione chiara, condivisa e creare un futuro solido per tutti. Nessun presidente di nessuna associazione può cambiare da solo il corso del settore, ma tutti insieme possiamo fare molto. Voglio contribuire a rafforzare il dialogo con le istituzioni, accompagnare la filiera nelle scelte tecnologiche, valorizzare le competenze, sostenere la crescita delle nuove generazioni e migliorare la percezione del nostro settore. Sarà un percorso impegnativo, ma credo fermamente che si possa fare. Il trasporto industriale ha davanti a sé una trasformazione enorme: la sfida è complessa, ma le opportunità sono straordinarie. Se sapremo coglierle con unità e visione, potremo costruire un futuro che non solo rispetti gli obiettivi europei, ma che renda più forte, moderno e sostenibile l’intero sistema Paese.
Volvo Trucks Italia | Uno sguardo “fuori dalla cabina”
Pochi giorni prima della nomina ufficiale a Presidente della sezione veicoli industriali di UNRAE, a Ecomondo abbiamo intervistato Giovanni Dattoli nella sua veste di Amministratore Delegato di Volvo Trucks Italia, rivolgendogli qualche domanda “fuori dal coro”. Con lui abbiamo ragionato su cosa rappresenta oggi l’autotrasporto per la società, in un senso più ampio, in un momento in cui anche il camion — veicolo industriale per eccellenza — si sta evolvendo verso qualcosa che ancora non è del tutto definito. Non solo in termini di alimentazioni alternative, ma anche di guida autonoma, di ergonomia, di attrattività del mestiere e di sostenibilità intesa come valore culturale prima ancora che tecnologico.
Sostenibilità come visione totale, non solo ambientale
Durante l’intervista, Dattoli ha insistito sul fatto che la sostenibilità, per Volvo Trucks, non coincide con la sola decarbonizzazione. È un concetto molto più ampio, che include la sicurezza, la qualità della vita delle persone a bordo dei veicoli e la responsabilità sociale dell’azienda. “La nostra definizione di sostenibilità non è solo ambientale. È sostenibilità della società a 360 gradi” racconta. Da qui derivano percorsi che vanno oltre la tecnologia: programmi di educazione nelle scuole, iniziative dedicate alla sicurezza stradale, interventi sulla qualità dell’ambiente di lavoro nelle officine e nelle fabbriche, fino alla progettazione di cabine più ergonomiche e confortevoli per chi guida ogni giorno. L’obiettivo di Volvo si riassume in un binomio ormai noto, “zero incidenti e zero emissioni”, ma Dattoli sottolinea come dietro questo mantra ci sia un lavoro molto più profondo: ridurre i costi sociali del trasporto, restituire tempo alle persone, generare valore per la comunità.

Guida autonoma, ergonomia, attrattività del settore
Il discorso si è spostato poi sulla trasformazione del lavoro dell’autista. Dattoli non vede la guida autonoma come una minaccia, bensì come un supporto necessario: “mancano talmente tanti autisti che speriamo che un po’ di guida autonoma arrivi” osserva. La tecnologia può aiutare la filiera a restare operativa, compensando una carenza strutturale che il settore non riesce più a gestire. Racconta anche come la logistica si stia orientando verso modelli di lavoro più sostenibili per l’autista, con turni giornalieri che permettono di tornare a casa la sera. E rimarca quanto la percezione pubblica sia ancora ancorata a un’immagine antiquata, spesso influenzata dall’elevata età del parco circolante italiano: “se le persone capissero che i veicoli moderni oggi sono in grado di fermarsi da soli, prevenire incidenti, mettere in sicurezza chi viaggia, la percezione cambierebbe”, ha affermato.
La questione culturale e la sfida della percezione pubblica
Dattoli ha messo in luce un nodo cruciale: il settore dell’autotrasporto comunica molto con sé stesso, ma raramente riesce a portare all’esterno il racconto del proprio sviluppo. “Siamo in una bolla” dice. L’autotrasporto è strategico per il Paese — uno dei pilastri dell’economia — ma non gode della visibilità e del riconoscimento che meriterebbe. In questo senso, Volvo investe nella sensibilizzazione dei più giovani, consapevole che la passione per i camion si manifesta già nell’infanzia e che è il passaggio alla vita adulta a spezzare quel legame. La percezione, infatti, si deforma a causa della scarsa conoscenza della tecnologia attuale e dell’immagine, spesso negativa, dei mezzi più anziani: “l’unica cosa buona del periodo Covid è che, almeno per un po’, i camion sono stati valutati per quello che sono realmente: le persone hanno capito che la logistica in Italia dipende dal trasporto su gomma. Da qui, secondo Dattoli, occorre ripartire: raccontando un settore moderno, tecnologico, sicuro e sempre più integrato nella vita quotidiana.


L’equilibrio tra “svedesità” e italianità
Nella seconda parte dell’intervista, Dattoli ha affrontato un aspetto identitario molto interessante: l’incontro fra cultura scandinava e creatività italiana. La sua metafora è efficace: “Casa madre ci fornisce i pilastri — qualità, ambiente, sicurezza — e noi italiani costruiamo la casa”. Il risultato è un dialogo continuo tra rigore nordico e ingegno mediterraneo. L’azienda porta avanti la cultura lean di matrice giapponese, la linearità dei processi svedesi e, allo stesso tempo, valorizza la capacità italiana di trovare soluzioni originali e non convenzionali. “Quando riusciamo a incasellare la creatività italiana dentro un processo strutturato, il risultato è davvero eccellente” osserva. È un modello che, secondo Dattoli, può diventare un esempio anche per la transizione del settore: partire da basi solide, mantenere una visione di lungo periodo e lasciare spazio a molteplici soluzioni, senza chiudere la porta alla sperimentazione.


