Intervista esclusiva a Carlo De Ruvo, presidente CONFETRA
Il tema della tutela dei lavoratori delle piattaforme digitali è complesso e ha recentemente acceso il dibattito tra quanti individuano il software come un sicuro strumento di subordinazione, quando non di vessazione, e chi invece, come Confetra, mantenendo sempre viva l’attenzione sullo scottante tema degli appalti nella logistica, invita però a non operare generalizzazioni che possano gettare a prescindere una luce sinistra sulle attività di ultimo miglio. Ed è proprio il presidente Carlo De Ruvo a spiegarci la posizione dell’associazione su questo e altri passaggi rilevanti che il settore sta vivendo.
Presidente, la vostra associazione è particolarmente sensibile al tema degli appalti nella logistica, tant’è che state lavorando per cambiare le norme sulla corresponsabilità di filiera, introducendo le tutele sul lavoro qualora sia dimostrata la dipendenza economica dell’appaltatore dal committente. Il sillogismo che avversate è quello tra eterodirezione digitale e subordinazione, diciamo bene?
Esatto. Esiste una direttiva europea che ha regolamentato i lavoratori delle piattaforme digitali, al fine di evitare la loro scorretta classificazione e permettendo loro di accedere ai diritti previsti dalla legislazione in materia di lavoro subordinato. È pensata per il settore del food delivery: applicarla tout court ai trasporti e ai magazzini significa travisare il contesto operativo del nostro settore. Inoltre mi sembra che un po’ per iniziativa della magistratura, un po’ per la cassa di risonanza data dalla stampa, si sta rischiando di far passare l’innovazione tecnologica come una presunzione di subordinazione, tingendo di negatività, a prescindere dalla situazione specifica, lo ripeto, l’utilizzo dello strumento digitale. Far coincidere tutto ciò che è utilizzo di tecnologia di proprietà del committente con lavoro subordinato alle dipendenze dello stesso, quando non addirittura con lo sfruttamento, è una deriva che rischia di tagliare le gambe al progresso. Leggevo dei nuovi occhiali smart forniti da Amazon ai propri corrieri: consentono di riconoscere i pacchi all’interno del veicolo e di visualizzare la mappa per raggiungere il punto di consegna anche all’interno di un condominio, di luoghi complessi. Cechiamo di vedere queste tecnologie in positivo, come una svolta dal punto di vista dell’efficienza e soprattutto della sicurezza dei driver.


Forse dipende anche da come vengono utilizzate, queste innovazioni tecnologiche: abbiamo intervistato spesso aziende che lavorano per i grandi player dell’e-commerce e conosciamo i ritmi di lavoro a cui sono sottoposte.
Il tema dei ritmi e delle pause è diverso e sta sicuramente in capo alle aziende creare condizioni di lavoro adeguate. Lo sforzo che è stato fatto nel nostro CCNL è quello di coniugare sicurezza, flessibilità e tutela dei lavoratori con lo sguardo rivolto verso l’innovazione: i software che permettono di ottimizzare il carico, di posizionare i pacchi all’interno del furgone con una logica progressiva a seconda dell’itinerario, quelli che supportano il guidatore nello scegliere il miglior percorso evitando traffico e incidenti o banalmente tenendo conto degli orari di chiusura delle portinerie, sono strumenti produttivi che migliorano l’efficienza della supply chain e facilitano il lavoro del corriere. Quella che viene definita ‘eterodirezione digitale’, che si verifica quando un lavoratore ‘prende ordini’ anche da una piattaforma software anziché dai borderò scritti, non è una novità in assoluto né una condizione professionale negativa a prescindere e quindi bisognosa di ulteriori tutele. In ogni caso l’autista può sempre valutare un itinerario alternativo in base alla sua esperienza. Non dobbiamo demonizzare la tecnologia perché altrimenti torniamo all’Ottocento, quando si distruggevano le macchine a vapore perché rubavano il lavoro all’uomo. La tecnologia è un supporto ineludibile e noi dobbiamo solo stare attenti a conciliarla con la tutela del lavoro.
Gli strumenti ci sono, ad esempio l’ultima formulazione del CCNL Trasporti e Logistica ha eliminato il subappalto.
In realtà il divieto di subappalto è stato introdotto nel nostro CCNL già da diversi anni e in questo il nostro settore è andato oltre rispetto alla normativa generale sulla pubblica amministrazione. Dal canto nostro, come Confetra, abbiamo recentemente predisposto un modello contrattuale, elaborato dal giuslavorista Pietro Ichino, per offrire alle imprese uno strumento operativo in grado di prevenire le distorsioni e valorizzare le realtà sane del settore, capace di tenere conto della dicotomia tra appalto genuino e non genuino. Dobbiamo agire su più fronti e la strada è ancora lunga per migliorare quest’area grigia.
Carlo De Ruvo, le sfide più importanti che il settore dovrà affrontare nel 2026.
La carenza di personale: siamo un settore labor-intensive che rappresenta circa un milione di addetti, il 9 per cento del PIL. Secondo i dati di Unioncamere mancano all’appello 35 mila autisti, e a questo si aggiunge un’età media molto alta tra quelli in attività oggi, con la previsione di un aggravio della crisi per mancanza di ricambio generazionale. E non c’è un vuoto solo tra gli autisti, ma pure tra i magazzinieri, gli addetti alle operazioni del traffico, delle spedizioni internazionali, dei traslochi. Non è un problema da poco: è a rischio la tenuta della catena logistica italiana, considerando il ruolo importantissimo, in termini di quantitativi movimentati, che il trasporto su gomma riveste nel nostro Paese. Le cause sono note: il settore emana scarsa attrattività e scoraggiano i filtri all’accesso alla professione con gli elevati costi per conseguire le patenti di guida. E poi non siamo capaci di raccontarci bene: siamo un settore che non parla il linguaggio dei social, ci manca un branding forte. Siamo percepiti come un comparto con più negatività che positività. Cosa fare? Formazione sicuramente, lavorare con gli istituti, creare percorsi facilitati per le patenti.

La seconda sfida?
La produttività delle aziende. È un fattore decisivo per la crescita economica del Paese, ma anche per i salari: se la produttività non cresce, non crescono neanche le retribuzioni, e quelle italiane sono basse, troppo basse. Per risolvere la questione non esiste una sola ricetta, serve un approccio integrato che, come Confetra, individuiamo nell’interazione fra politiche industriali, fiscali, istruzione e innovazione. Con due chiavi di lettura importanti. La prima: la crescita dimensionale. Siamo un settore ancora troppo frammentato che esprime una grande difficoltà nel sostenere l’innovazione, soprattutto nelle aziende di piccole dimensioni. Siamo indietro sugli investimenti tecnologici, con solo il 18 per cento delle imprese del settore che sta pensando di stanziare fondi per digitalizzazione e intelligenza artificiale. E siamo un Paese, secondo il rapporto del CNEL, dove gli investimenti in ricerca e sviluppo, a capitale intangibile quindi, sono inferiori a quelli tangibili. Nelle nazioni con una forte spinta alla crescita il rapporto è inverso. Esiste un vero e proprio cortocircuito tra bassi salari, bassi investimenti intangibili, bassa qualificazione e bassa produttività. Un circolo vizioso per spezzare il quale bisogna agire su vari fattori, sicuramente sulla formazione e sulla crescita dimensionale.
Vi sta molto a cuore anche la riforma del codice doganale europeo.
Condividiamo l’obiettivo della riforma di semplificare e uniformare le procedure di sdoganamento in tutti gli Stati membri per evitare le distorsioni della concorrenza, ma abbiamo sollevato la questione della rappresentanza, che vediamo come critica: siamo d’accordo che la dogana debba essere in grado di individuare un responsabile legale dell’importatore, però nella rappresentanza indiretta, quando esiste un importatore con partita IVA e struttura, non ci sembra corretto mantenere una responsabilità solidale.


Il prossimo anno terrà banco ancora il tema dei valichi alpini?
Certo, perché non è stato ancora risolto. Abbiamo accolto con soddisfazione il ricorso della Corte di Giustizia europea contro i divieti unilaterali dell’Austria sul Brennero, però esistono altre criticità, prima tra tutte una dotazione infrastrutturale insufficiente, e penso in particolare alle uscite ferroviarie del Brennero e del Fréjus. Denunciamo inoltre l’estrema lentezza nel completare le opere di collegamento e di adduzione, ma anche la scarsa resilienza del sistema, chiaramente evidenziata dalle frane, dagli eventi estremi e dagli incidenti che due anni fa hanno bloccato quasi tutte le vie di uscita dall’Italia. Ad aggravare la situazione una programmazione lacunosa e poche iniziative valide a compensare i disagi. Confetra ha proposto a Bruxelles che venga adottata un’iniziativa politica, non tecnica, per la gestione in modo coordinato dei valichi e dei corridoi che li attraversano. Serve un sistema che sia in grado di raccogliere, analizzare e far fruttare i dati. E soprattutto serve capire l’importanza strategica dei valichi e agire in modo conseguente. Ma rimanendo sulle infrastrutture e allargando però il discorso a tutto il territorio italiano, ad essere sempre più preoccupante è la scarsa integrazione fra reti e nodi: ferrovie da ammodernare, porti inefficienti, infrastrutture vetuste, aeroporti saturi. Tutti problemi il cui comune denominatore è la mancanza di finanziamenti pluriennali che siano in grado di assicurare continuità e coerenza ai progetti nel tempo.
Manca solo un commento sul ponte sullo Stretto…
La decisione politica è stata presa e noi ne prendiamo atto. Noi ad oggi non abbiamo gli strumenti per giudicare perché l’efficienza delle infrastrutture si vede nel lungo periodo… quindi aspettiamo e vediamo gli sviluppi che ci auguriamo positivi.


