L’IMPRESA QUOTIDIANA di Carlo Molteni
Con la rubrica che inauguriamo in questo scorcio di fine anno ci prefiggiamo l’obiettivo di intavolare un dibattito, rivolgendoci in particolare agli imprenditori alla guida di piccole imprese di autotrasporto, per verificare insieme a loro quali possano essere gli strumenti giusti per ottimizzare le performance aziendali e di conseguenza la qualità della loro vita e di quella dei loro dipendenti. Che non sembri presuntuoso: lo spirito è quello di un percorso condiviso, da scrivere nero su bianco utilizzando un linguaggio semplice, diretto e comprensibile, senza tecnicismi, andando al cuore dei problemi. Ci piacerebbe ascoltare il futuro anche la loro voce: intendiamo accogliere eventuali richieste di approfondimento e. con ancora maggior gusto, analizzare pareri diversi che possano dare linfa ad un confronto reale.
Ho usato il termine “intavolare”, e infatti immagino queste pagine come una chiacchierata durante un pranzo della domenica, magari a nostro agio in una di quelle vecchie trattorie con le tovaglie a quadri e le sedie impagliate. Il contesto perfetto per aprirsi a confidenze e raccontare umori che magari durante la settimana possono non aver trovato il giusto spazio tra gli impegni del nostro quotidiano. E invece dialogare è condizione imprescindibile per permettere al suggerimento giusto di trovare la sua strada, per darci l’opportunità di cogliere quello spunto che aspettavamo da tempo, in uno scambio fruttuoso che possa auspicabilmente risolvere una volta per tutte un dubbio, un pensiero opprimente. Piccole imprese, scrivevo: in Italia – dati 2024 – sono attive 99.309 aziende di trasporto e il 75 per cento di queste possiede meno di 20 veicoli. Esiste quindi una fascia di imprese “piccole”, spesso “fragili”, che ha bisogno di sostentamento e attenzione. Ovviamente i nostri vogliono essere solo suggerimenti e come tali vanno trattati. Ognuno è l’imprenditore che può e vuole essere, e se il suo agire lo fa sentire sereno di fronte ai suoi bilanci e alla qualità della sua vita ne siamo solo felici. Nel caso poi giungessero osservazioni, commenti e nuovi stimoli avremo raggiunto il nostro scopo, che è quello di aprire uno sguardo diverso sul nostro lavoro.
Mi sono chiesto più volte quale strada potevo scegliere per migliorare le performance della mia azienda. All’inizio non è stato semplice perché l’offerta di corsi di apprendimento non era così diffusa come ora. Immaginavo che la somma di tante lezioni potesse portarmi ad avere un pacchetto di esperienza che avrei poi tradotto in un naturale miglioramento con risultati immediati. Mi sbagliavo: lo studio ci porta ad incrementare il nostro sapere, ma i dati più importanti da conoscere stanno già all’interno della mura della nostra impresa. Un semplice esempio: è come se volessi migliorare il mio tempo in una gara senza conoscere il mezzo con cui corro, sia esso una bicicletta, una moto o un’auto. A prima vista può sembrare una osservazione banale. Invece vorrei invitarvi ad una riflessione più profonda. Conoscere la propria azienda non significa solo sapere quali clienti abbiamo, quanti veicoli possediamo e quali fornitori utilizziamo. Significa comprendere il grado della nostra conoscenza. La maggior parte delle piccole aziende incontra il proprio consulente fiscale tre, quattro volte l’anno e affronta gli appuntamenti con un certo fastidio, temendo il momento in cui il professionista comunicherà le tasse da pagare, siano acconti, saldi o qualcosa di diverso che spesso fingiamo di capire perché il nostro desiderio è quello di uscire al più presto da quell’ufficio. Poi, una volta l’anno, lo incontriamo per discutere il bilancio, e in quell’occasione ci viene comunicato in maniera asciutta se esiste un utile o se chiuderemo l’esercizio in perdita. In questo ultimo caso il danno è fatto, ed è irreparabile perché appartiene al passato.
Allora mi chiedo, perché le piccole aziende non iniziano a mettere in atto alcuni semplici strumenti che permettano loro di monitorare il presente e di modificare in base alle risultanze il proprio approccio? Per esempio, avete mai analizzato il ricavo per chilometro, semplicemente prendendo il fatturato mensile e dividendolo per i chilometri percorsi? Non importa se avete 1 o 10 veicoli; l’operazione richiede pochi minuti e fornirà un dato che alla prima lettura vi dirà poco o niente. Ma immaginate di estendere questo valore ai dodici mesi, e lì sì che qualcosa comincerà a dirvi; la vostra azienda comincerà a parlarvi e voi a comprenderla. Secondo esempio: il ricavo per ora lavorata. La nostra professione è impegnativa, e questo lo sappiamo bene tutti; ma quanto può essere impegnativa? Provate, voi imprenditori monoveicolari, a fine giornata e per un mese consecutivo a calcolare quante ore avete lavorato e dividete per questo numero il vostro ricavo. Sono sicuro che rimarrete sbalorditi: meno di quanto vi aspettavate. Vi renderete conto che magari avete incassato per ora di lavoro meno dell’idraulico che la settimana scorsa è venuto a casa vostra a riparare un lavandino.
Per cui la seconda domanda che vi dovete porre è: ne vale la pena? Qualcuno può rispondere: “Sono innamorato di questo mestiere”. Ma la passione non rientra nei parametri che gli istituti bancari esaminano quando andate a richiedere un finanziamento, un mutuo o un leasing. Iniziamo a tenere presenti i due parametri – ricavo/km e ricavo/ora – e con questi sviluppiamo piccoli processi di conoscenza della nostra azienda. Capisco che questi calcoli possano essere divisivi: chi non li mastica li riterrà non alla sua portata, chi invece di mestiere analizza i bilanci li riterrà primitivi e inaffidabili. Tuttavia il nostro scopo è quello di stimolare, incentivare ed aiutare chi si dedica solo alla fatica e poco all’analisi. Prendere l’abitudine di “mettere il naso” ogni mese su quanto può essere utile analizzare significa anche non demandare tutto ai consulenti, i quali trattano decine e decine di categorie e spesso non conoscono nello specifico il nostro settore.
Vorrei concludere con un auspicio. Queste micro, piccole e medie aziende hanno bisogno di ritrovare autostima e di ricevere rispetto, inteso come riconoscimento del lavoro svolto. Negli ultimi anni e soprattutto nel periodo post-Covid abbiamo notato che il passaggio generazionale può essere accompagnato da una diminuita professionalità. Le relazioni personali che ci hanno tenuto a galla per anni oggi sono scomparse; se aggiungiamo un diffuso disinteresse per la fatica altrui il quadro è preoccupante. Ritengo pertanto che per il bene della categoria ogni impresa debba alzare il proprio livello di professionalità, e indirizzare tutti noi verso un comune riconoscimento del valore della logistica e del trasporto in particolare. Le imprese manifatturiere possono realizzare prodotti eccellenti ma se il “servizio di trasporto” non risulta essere all’altezza, facilmente il mercato percepirà l’intera filiera inadeguata. Ricordiamoci sempre che il trasporto non è un servizio accessorio, ma è parte integrante della qualità del prodotto finale.


