Salvare vite umane e creare un mercato equo, questi i superpoteri del tachigrafo

Intervista ad Alessio Sitran, manager legal requirements di VDO

È organizzato dalla polizia di Dubai il World Police Summit, evento fieristico e convegnistico che raduna ogni anno aziende e stakeholder interessati a confrontarsi e discutere i temi legati al mondo della polizia. Tra questi importanza strategica, anche e soprattutto per il nostro settore, riveste l’argomento della sicurezza stradale, al quale è stato dedicato un panel moderato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Una tavola rotonda che ha visto tra i suoi relatori internazionali Alessio Sitran, manager legal requirements di VDO, che ha voluto focalizzare lo stato dell’arte raggiunto in materia dall’Europa, gettando anche l’idea di un ponte ideale sul tema della sicurezza stradale tra noi e i Paesi arabi.

Alessio Sitran, com’è nata l’occasione di partecipare al Summit?

La polizia di Dubai fa parte in qualità di osservatore di Roadpol, rete di cooperazione tra le Polizie Stradali nata sotto l’egida dell’Unione Europea, alla quale aderiscono quasi tutti i Paesi Membri, oltre a Svizzera, Serbia e Turchia: al suo interno esiste un gruppo di lavoro dedicato al tachigrafo. Lo scorso anno, in occasione dell’invito ad intervenire in occasione dell’assemblea generale dell’associazione, ho avuto modo di entrare in contatto con le autorità degli Emirati: nei Paesi della penisola araba quello stradale pesante è una voce significativa dell’attività di trasporto. 

Il suo intervento si è svolto nel contesto di un panel moderato dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità… 

Sì, la WHO ha una competenza specifica sul tema della sicurezza stradale, in quanto tema di salute pubblica. Annualmente rilascia il Global Road Safety Report, documento che scandaglia nel dettaglio le condizioni di sicurezza stradale a livello mondiale con dati e focus su tutti gli utenti della strada, su ogni modalità di trasporto e sull’impianto infrastrutturale. Nel corso della tavola rotonda sono stati esaminati diversi aspetti della sicurezza stradale, come ad esempio il tema della guida autonoma. Io mi sono occupato di trattare soprattutto il ruolo della tecnologia, per capire dove siamo arrivati oggi e fin dove possiamo spingerci, anche per fornire suggestioni agli stakeholder del Paese ospite e ai presenti in generale. Chiariamo innanzitutto che il livello di sicurezza stradale dipende da un concorso di variabili. Perché l’ambiente stradale è imperfetto e mantiene una dimensione umano-centrica: il ruolo della persona, dell’utente, sarà ancora, e a lungo, determinante. Agisce sulla scena una moltitudine di soggetti e tutti prendono decisioni: che possono essere sbagliate, influenzate da bias o da aspetti che esulano dal controllo umano. La distrazione, banalmente, la guida con il cellulare in mano ne sono un esempio. All’interno di questo contesto la riduzione del rischio non può che essere il risultato del lavoro su diversi aspetti: cultura della sicurezza stradale, comportamento dell’utente, infrastruttura, enforcement, tecnologie.

Però in Europa, i dati lo attestano, siamo a buon punto…

E infatti il mio focus è partito proprio dall’esperienza europea, con un’analisi sull’autotrasporto commerciale pesante, e quindi sul mondo coperto dal tachigrafo. Abbiamo una banca dati sterminata: siamo 27 paesi e il trasporto internazionale ha un peso fondamentale nella nostra economia. La considerazione interessante è che esaminando il periodo 2006-2023, se il trend indica una continua e costante riduzione del numero di morti all’interno di incidenti che vedono coinvolti i veicoli pesanti, al tempo stesso si registra una significativa crescita dei volumi: c’è una correlazione inversa tra il numero di persone che perdono la vita e le tonnellate per chilometro trasportate. Questo significa che il nostro è un settore che negli anni ha ampliato la sua attività dal punto di vista operativo e economico, ma allo stesso tempo ha lavorato in modo efficace sulla riduzione dell’incidentalità. Anche qui il risultato è dipeso da un insieme di fattori: il veicolo innanzitutto e la sua tecnologia; è migliorato l’enforcement, ma è migliorata anche la capacità di gestire l’attività di trasporto attraverso il tachigrafo. Oggi non esiste in letteratura un dato che chiaramente esprima una correlazione tra il minor numero di morti e l’utilizzo del tachigrafo, ma è innegabile, anche solo ragionando in modo deduttivo, che questo strumento abbia avuto un suo peso.

Spieghiamo meglio?

Certamente. Quello che permette la corretta gestione psicofisica della condizione dell’autista è il rispetto della normativa sui tempi di guida e di riposo. Su questo non esiste dubbio. E quale strumento permette di gestire il rispetto di questa alternanza? Il tachigrafo ovviamente. La ricerca accademica dice che mediamente la stanchezza determina il 15 per cento degli incidenti che coinvolgono i veicoli commerciali. Secondo stime approssimative che considerano sempre il periodo 2006-2023, quel 15 per cento è da tradursi in circa 1.500 vite umane salvate e in un risparmio sociale di circa 2 miliardi di euro. Ribadisco, è un dato SOLO stimato, però è innegabile che ci sia un effetto tachigrafo, ed è questo il messaggio che ho voluto lanciare alla platea di Dubai. Sottolineando, sempre a loro beneficio, che esiste un necessario impianto normativo che deve essere costruito e che questo impianto normativo deve portarsi dietro lo sviluppo del prodotto: esiste una progressione parallela tra l’evoluzione tecnologica e quella normativa. Il tachigrafo certo evolve perché evolve la tecnologia, ma spesso la tecnologia evolve perché è chiamata dalla norma a progredire.

Verrebbe da aggiungere che il percorso è anche inverso, dalla tecnologia alla norma, che senza tecnologia forse non saprebbe neanche cosa chiedere, o su quali basi.

Certo, il rapporto è bidirezionale: oggi la norma può richiedere nuove funzionalità perché l’industria è in grado di renderle disponibili. 

Ha raccolto dai presenti interesse e consapevolezza sul tema della sicurezza stradale?

Sì, ma di più: esiste globalmente una fortissima sensibilità sul tema e una decisa volontà di migliorare le procedure operative, anche da parte delle forze di polizia, che generalmente oggi si scontrano con una diffusa carenza di organico: la tecnologia serve loro per migliorare il costo del controllo e per essere più efficaci nella deterrenza. Per ottenere risultati concreti è però fondamentale lavorare con la comunità e soprattutto mantenere un dialogo aperto e continuo con l’industria: l’evoluzione oggi è molto veloce e questo crea un mismatch tra quello che la tecnologia è in grado di fare – un veicolo a guida autonoma, ad esempio – e quello che il resto dell’ambiente è in grado di recepire. Se manca l’infrastruttura che consente di utilizzare la guida autonoma, l’impianto normativo, o anche solo forze di polizia capaci di gestire situazioni di incidentalità in un contesto del genere, allora lo sforzo tecnologico è vano.

Il tachigrafo ha dunque la strada spianata verso la penisola arabica?

Non esattamente. Teniamo presente che il tachigrafo in Europa è presente ormai da 40 anni, con il primo regolamento emanato nel 1969. C’è stata da allora un’evoluzione graduale che ha seguito le esigenze specifiche dell’Europa. Certo anche quei Paesi potrebbero avere la necessità di gestire un traffico transfrontaliero, o comunque lunghi assi di percorrenza all’interno della regione, e di lavorare al contempo sulla sicurezza stradale, perché questo è il desiderio di tutti: un mercato che competa in modo equo con conducenti al lavoro nelle migliori condizioni possibili. Poi però bisogna capire qual è l’impianto normativo che un determinato Paese intende darsi, e questo non può non rifletterne la cultura, le necessità. Faccio un esempio: in Europa abbiamo la registrazione automatica dell’attraversamento frontiera perché la tecnologia ha risposto all’esigenza di contrastare il cabotaggio illegale. Queste regioni, avranno lo stesso tipo di bisogno? Possiamo fornire degli spunti, ragionare sulla tecnologia, ma le esperienze che ne motiveranno l’adozione, se questo veramente succederà, alla fine saranno state inevitabilmente diverse.

Secondo lei qual è stato il principale merito del tachigrafo, in questi anni, oltre a salvare quelle famose 1.500 vite umane?

Credo fermamente che il tachigrafo abbia aiutato il mercato a mantenere le migliori condizioni di equa concorrenzialità. Poi non sarebbe bastato senza un impianto normativo e una coerente politica dei trasporti, certo, però in assenza del tachigrafo mi sento di affermare che il mercato sarebbe stato al ribasso, e parlo di concorrenzialità e di condizioni di lavoro. Le aziende in questi anni sono cambiate, e se prima il rispetto della norma era visto come qualcosa di greve che complicava l’attività di autotrasporto, oggi gli imprenditori stanno comprendendo in numero sempre maggiore che il rispetto della norma si traduce per loro in un vantaggio competitivo. Il confronto si sta spostando dai costi alla compliance. Prendiamo il discorso del modulo DSRC, che permette alle forze dell’ordine di conoscere anticipatamente lo stato dell’apparato tachigrafico: l’azienda che lavora rispettando la norma avrà semaforo verde e sarà in vantaggio in termini di tempo e risorse rispetto a chi verrà fermato. Alla lunga elementi come questo aiuteranno a migliorare la reddittività, ad avere un conto economico più sano, e questo permetterà di investire e rinnovare il parco circolante, e quindi la sicurezza della flotta. È un concetto che amo riassumere nella definizione ‘sostenibilità competitiva’: essere sostenibili, ma in maniera competitiva, permette di avere le risorse per lavorare sulla sostenibilità ambientale, su quella sociale e naturalmente su quella economica.

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